Vanity Fair, 12 marzo 2008
Dunque il
Professore esce (con un sorriso tirato) dal palcoscenico della politica. Chiudendo simbolicamente la stagione delle due Italie, quella prodiana, quella berlusconiana, contrapposte anche nel colpo d’occhio di superficie oltre che nelle profondità del carattere, dei modi e dei mondi di riferimento dei due leader.
Quella
contrapposizione divenne il tema principale della politica, il suo reagente e il suo fondale. C’era l’Italia dell’uno e dell’altro. Quella della
Bologna prodiana e di quieta provincia italiana, con regole e segreti da rispettare, Università di tradizione, establishment bancari, centri studi, capitalismo temperato dalla dottrina sociale della Chiesa, statalismo coniugato al mercato e alle liberalizzazioni, un po’ di noia, niente consumismo, molta bicicletta. E quella della
Brianza berlusconiana di edonismo arrembante e tv commerciale, del successo economico a tutti i costi, della religione del fare e dell’avere, dell’
insofferenza alle regole, prima di tutto quelle fiscali, del vitalismo che crea e che innova, dei molti sacrifici necessari, e dei
condoni sempre ben accetti.
Due volte Prodi ha sfidato e sconfitto Berlusconi, nel 1996 e nel 2006. Due volte ha risanato i conti dell’Italia. Due volte ha avuto in cambio
coalizioni litigiose, finendo trafitto dai suoi alleati peggiori, la prima volta
Fausto Bertinotti, la seconda
Clemente Mastella. Non ha retto ai ricatti miopi della politica. Alle piccole e grandi congiure che si nutrivano della sua vittoria per imbrigliarlo e sconfiggerlo. Ai
mediocri alleati incapaci di immaginare che solo dentro al suo progetto, l’Ulivo e poi l’Unione, la sinistra radicale e il centrismo cattolico stavano vivendo l’ultima occasione per governare insieme.
Ora si volta pagina. E presto anche il declino di Berlusconi seguirà.