Ora d'aria
l'Unità, 17 ottobre 2008Mi scuso per l'intrusione, ma
siccome sono diventato il condannato più famoso d'Italia, vorrei dire qualcosa anch'io sulla
sentenza della giudice Di Gioia che, in
primo grado, ha ritenuto diffamatorio per Cesare Previti un
mio pezzo pubblicato nel 2002 sull'Espresso,
in cui Previti era citato in mezza riga. Anzi, non sulla sentenza, che
non c'è ancora (verrà depositata tra 60 giorni) e che comunque, più che
commentata,
andrà appellata nella speranza che sei occhi in Corte d'appello vedano meglio dei due del giudice monocratico.
Vorrei dire qualcosa su tutto ciò che l'ha accompagnata.
Perché, come sono certo di non aver diffamato nessuno, men che meno
Previti (reato impossibile), non sono altrettanto sicuro che le
cronache dedicate alla sentenza,
a reti ed edicole unificate, non siano diffamatorie.
Cito dal
Tg1, che di solito non
dà notizia delle condanne non solo dei giornalisti, ma nemmeno dei
ministri, parlamentari, banchieri, imprenditori, e gabella le
prescrizioni di Berlusconi e Andreotti per assoluzioni, ma
ha riscoperto i piaceri della cronaca giudiziaria giusto in tempo per me:
"Marco Travaglio è stato condannato a 8 mesi di reclusione, pena
sospesa, per aver diffamato l'ex deputato Previti. Il processo,
celebrato a Roma, riguardava un servizio sull'Espresso… Travaglio dovrà
risarcire Previti con 20 mila euro".
Manca solo un piccolo dettaglio: la sentenza è di primo grado.
Avesse riguardato chiunque altro, i Raiotti avrebbero precisato che
verrà appellata e dato la parola all'imputato per dire che nessuno è
colpevole fino a condanna definitiva. Non ho avuto questa fortuna.
Così il Tg1, informando sulla mia presunta diffamazione, è riuscito a diffamare me. Complimenti e grazie. Ora attendo che il Tg1 fornisca alla Nazione
tutta i nomi dei suoi giornalisti condannati
negli ultimi anni, in primo, secondo, o eventualmente terzo grado. Così
come mi auguro che tutti i giornali che ieri han voluto dedicarmi tanto
spazio, spalanchino gli archivi e facciano altrettanto. Ci sarà da
divertirsi.
Casomai la cosa potesse interessare, il sottoscritto è giunto all'età di 44 anni con la
fedina penale immacolata:
sul mio Casellario giudiziale c'è scritto "Nulla". Il che naturalmente
non significa che tutti i condannati definitivi per diffamazione siano
dei diffamatori: questo genere di processi, per chi fa cronaca
giudiziaria, sono
incidenti di percorso quasi inevitabili anche per chi non sbaglia
(e prima o poi sbagliamo tutti). Perché esistono tre tipi di
diffamazione: quella di chi esprime opinioni critiche, ritenute dal
giudice eccessive; quello di chi scrive fatti falsi; quello di chi
scrive fatti veri, ma inseriti in un contesto negativo che il giudice,
nella sua discrezionalità, ritiene diffamatori. Ora, quel che ho
scritto sull'Espresso è vero:
ho citato il verbale del colonnello del Ros Michele Riccio,
che parlava (lui, non io, diversamente da quanto scritto dall'Unità)
della presenza di Previti nello studio Taormina mentre si teneva una
riunione per discutere certe faccende riguardanti Dell'Utri,
senz'attribuire a Previti alcun ruolo nella riunione.
Dunque penso che la mia sentenza riguardi il reato del terzo tipo. Càpita, viste la genericità del reato di diffamazione e la
carenza di cultura liberale nella giurisprudenza italiana,
diversamente da quella europea (vedi sentenze della Corte di
Strasburgo) e americana (il I emendamento taglia la testa al toro).
Non è stato sempre così: negli anni 80,
Indro Montanelli fu condannato per diffamazione nei confronti di
Ciriaco De Mita: un milione di lire di multa per avergli dato del padrino. Montanelli
si appuntò al petto la condanna come una medaglia.
L'altro giorno il pm aveva chiesto per me una multa di 500 euro. Il
giudice l'ha ridotta a 100 e ci ha aggiunto, bontà sua, 8 mesi di
reclusione. La pena media dell'omicidio colposo;
la metà della pena inflitta a Previti per aver comprato il giudice del caso Mondadori; 3 mesi in meno degli anni affibbiati a
Cesare Romiti per
100 miliardi di lire di falsi in bilancio Fiat (prima che il reato
fosse depenalizzato); 2 mesi in più della pena patteggiata da
Renato Farina per favoreggiamento nel sequestro Abu Omar.
A proposito dell'on. Farina, alias agente Betulla:
ieri su Libero,
sotto il titolo "La banda Santoro - Anche Travaglio finisce tra i
pregiudicati", definisce "barbarie" la pena detentiva, ma poi mi
rinfaccia di aver ricordato le condanne per diffamazione di Lino
Jannuzzi. E scrive che usufruirò dell'indulto. Dunque "chi di spada
ferisce…". Ma non sa quel che dice.
Dell'indulto ha usufruito lui,
visto che la sua pena patteggiata è definitiva. La mia è un primo grado
(dunque pregiudicato lo dica a se stesso) e conto di farla cancellare
nei gradi successivi: forse Betulla non sa che l'indulto
si applica solo alle pene irrevocabili. Quanto a
Jannuzzi,
a parte il fatto che le sue condanne si riferiscono a notizie false
(tipo i complotti delle toghe rosse contro Berlusconi e Andreotti "poi
assolti"), ne ho parlato perché Jannuzzi è stato a lungo parlamentare
(infatti ha avuto prontamente la grazia).
Le condanne dei giornalisti sono fatti loro, quelle dei parlamentari sono fatti nostri. Sottili distinzioni ignorate anche dal
biondo mèchato del Giornale, che ha sbattuto la mia sentenza in prima pagina, dopo aver nascosto le sue (
una caterva di processi persi, con abbondanti risarcimenti dei danni ai pm di
Mani Pulite
per la balle diffamatorie che lui rovescia loro addosso da una vita).
Il pover'ometto farnetica di "pregiudicato", "indulto", "prescrizione"
e s'interessa appassionatamente alle mie ferie.
Lui che era di casa ad Hammamet
ai piedi di un celebre latitante pluripregiudicato e pluricorrotto, di
cui è vedovo inconsolabile. Ecco, nemmeno Vallanzasca potrebbe mai
accettare lezioni dalla Yoko Ono di Craxi.
(Vignetta di Roberto Corradi)
Approfondimenti dalla rassegna stampa a cura di Ines Tabusso
Segnalazioni
Travaglio non ricusa i giudici e non sollecita alcun Lodo speciale. farà solo ricorso in appello...
di Giuseppe Giulietti (Articolo21.info)
Giustizia, sanzione, vendetta/1 - il nuovo post da Toghe rotte, la rubrica sulla giustizia a cura di Bruno Tinti
Chi ha paura di Giordano di Bruno - guarda il video di Maurizio Di Bona