
Sono (per lo più) i politici l’antipolitica. La verità lampante l’ha scritta
Barbara Spinelli l’altro giorno su La Stampa. E’ la loro crescente quantità di
privilegi, di
separatezza, di
sordità, di
omertà a scatenare quel risentimento che
Beppe Grillo ha portato sul palco di piazza Maggiore a Bologna e in quello planetario della Rete. Che si è imposto come un allarme assordante per il Palazzo da parte di milioni di cittadini che disprezzando i politici – da Burlando a Berlusconi, da Gustavo Selva a Clemente Mastella - invocano la politica.
E’ altrettanto vero, come ha detto fuggevolmente
Romano Prodi, che i politici sono lo specchio fedele del Paese.
La Casta ci rappresenta, interpreta le nostre aspirazioni, asseconda i nostri stessi vizi, e addirittura li moltiplica avendone il modo e i mezzi accresciuti dal potere. Il nostro Parlamento, a differenza di quelli europei, ha sempre contenuto una quota di
inquisiti, o addirittura di
condannati. Negli Anni della Prima Repubblica, il doppio di oggi. E basterebbe riflettere sul caso della Sicilia e dei siciliani che alle ultime elezioni per la poltrona di Governatore, tra il molto inquisito
Totò Cuffaro e
Rita Borsellino, la sorella del giudice ucciso in via D’Amelio, scelgono Cuffaro senza tentennamenti, o vergogna, con 12 punti di scarto.
Non è il (fantomatico)
qualunquismo di Beppe Grillo che dovrebbe preoccuparci. O le sue parolacce, fastidiose d’accordo, ma chi se ne frega. E’ un comico che parla, ha il diritto di farlo nei modi che si merita e che ci meritiamo.
Il pericolo viene dal silenzio del Palazzo. E contemporaneamente dalle molte sordità del Paese reale che sa indignarsi sempre guardando altrove, o in alto, mai nello specchio che si porta dietro.
Pubblicato su Vanity Fair del 04 ottobre 2007