
Lugubre, però anche utile il gioco del
cosa resterà di questi 20 mesi, una volta che il tempo comincerà a scolorirli e a farli slittare in un secondo piano sempre più remoto, sempre più impreciso, fino alla sommaria brevità di un solo paragrafo, di una sola immagine da ricordare.
Non quella dei
conti pubblici rimessi in ordine. Del
contratto dei metalmeccanici appena firmato. Dell’
accordo su Welfare e pensioni. Della
lotta all’evasione fiscale. Del
ritiro dall’Iraq. Delle piccole
liberalizzazioni avviate. Del
taglio dell’Ici. Del quotidiano miracolo compiuto da
Romano Prodi di sopportare Turigliatto e Dini, Diliberto e Mastella, Caruso e la Binetti.
La sola immagine che si tramanderà (è il mio pronostico) sarà quella della sterminata
Campania sepolta sotto ai suoi stessi rifiuti, dicembre 2007, gennaio 2008, i roghi nauseabondi, i milioni di sacchetti putridi, le muraglie che ostruiscono tutto, i marciapiedi, le strade, i portoni, le scuole, la vita. Corto circuito di una intera società. Fine di un progetto comune.
Apocalisse di malavita. Mentre pattuglie di umani transitano verso furibondi posti di blocco (donne, vecchi, bambini, sindaci, megafoni, bandiere) dove impedire discariche, bloccare passaggi, gridare, protestare: “Non qui, andate via!”.
Via dove?Come se ci fosse davvero un altro modo, un altro luogo, per smaltire le proprie deiezioni, i propri veleni abbandonati, gli scarti della propria vita. Come se bastasse
caricarli sui treni e spedirli via, sotterrarli lontano, lontanissimo, a
infestare altri mondi, chi se ne frega. E continuare il gioco all’infinito. Irresponsabili, senza vergogna, senza amor proprio. Senza un po’ di coraggio. Nulla,
irremovibili verso la catastrofe. Come quel marmo d’anima che ancora sorregge l’ostinazione di
Antonio Bassolino che resta, non si dimette, il piagnisteo di
Rosa Russo Jervolino che incolpa sempre qualcun altro, la tracotanza di
Pecoraio Scanio che per fortuna è a fine corsa,
addio.